Ad vitam, locuzione latina che sta per "a vita", è il titolo di un film uscito di recente che mi ha colpito molto. Ambientato in un futuro distopico dove l'umanità ha sconfitto la morte grazie alla tecnologia che consente di rigenerare i tessuti, la pellicola mostra quanto l'eterna giovinezza possa essere un'arma a doppio taglio.
Seguendo le vicende del protagonista, Franck, un ex agente di polizia che indaga su una serie di misteriosi suicidi tra i giovani, veniamo a conoscenza di una società in cui la vita è diventata una maledizione piuttosto che una benedizione. La possibilità di rigenerarsi all'infinito, infatti, ha portato a una perdita di senso e di scopo, poiché ogni errore o fallimento può essere cancellato semplicemente riavvolgendo il tempo.
La figura di Franck è emblematica di questa condizione: è un uomo stanco, disilluso, che ha perso la voglia di vivere. Tuttavia, l'incontro con una giovane donna di nome Léo, che ha scelto di morire piuttosto che vivere in eterno, gli fa riscoprire il valore della vita e il senso di sacrificio.
Ad vitam è un film potente e inquietante, che ci invita a riflettere sul significato della vita e della morte. Ci mostra che l'eterna giovinezza non è necessariamente un dono, ma può diventare una trappola da cui è impossibile fuggire. Ci ricorda che la vita è preziosa proprio perché è finita e che ogni momento deve essere vissuto al massimo, senza paura di fare errori o di fallire. Perché è dagli errori e dai fallimenti che impariamo e cresciamo, ed è nel vivere intensamente che troviamo il vero senso dell'esistenza.
Il film termina con un finale aperto, che lascia allo spettatore la possibilità di interpretare la storia a suo piacimento. Personalmente, ho trovato il finale molto significativo: Franck e Léo si allontanano insieme verso un futuro incerto, ma pieno di possibilità. È un finale che ci ricorda che, anche nelle situazioni più difficili, c'è sempre speranza e che la vita va sempre vissuta, indipendentemente dalle sfide che ci aspettano.